Prima di parlare della morte di Caio Giulio Cesare è necessario fornire al lettore un contesto politico e storico che giustifichi l’azione del Senato nel congiurarlo.

Morte di Giulio Cesare, motivazioni politiche

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L’idea di Cesare era infatti quella di eliminare ogni differenza esistente tra i cittadini e i sudditi cercando inoltre di far diventare cittadini romani tutti coloro che fossero abitanti delle varie province.

La nomina di Cesare a dittatore “perpetuo” inoltre aveva creato enormi attriti tra i senatori che pensavano che la concentrazione del potere nelle mani di un solo uomo non fosse in realtà temporanea e avrebbe comportato la fine della Repubblica e delle sue libertà.

Per questo motivo l’uccisione di Cesare apparve ai senatori come l’unica strada per ristabilire l’ordine oligarchico e il vecchio ordinamento repubblicano, da qui nacque dunque l’idea del complotto e della congiura ai danni di Caio Giulio Cesare.

Presagi nefasti anticipano il Cesaricidio

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Il Cesaricidio in realtà viene preceduto da una serie di presagi nefasti che Svetonio racconta nel celebre libro “Caesar” e che caratterizzano gli ultimi giorni di Cesare.

“«Ma la morte imminente fu annunciata a Cesare da chiari prodigi. Pochi mesi prima, i coloni condotti a Capua, in virtù della legge Giulia, stavano demolendo antiche tombe per costruirvi sopra case di campagna. Lavoravano con tanto ardore che scoprirono, esplorando le tombe, una gran quantità di vasi di antica fattura e in un sepolcro trovarono una tavoletta di bronzo nella quale si diceva che vi era sepolto Capi, il fondatore di Capua.
La tavola recava la scritta in lingua e caratteri greci, il cui senso era questo: «Quando saranno scoperte le ossa di Capi, un discendente di Iulo morrà per mano di consanguinei e ben presto sarà vendicato da terribili disastri dell’Italia.» Di questo episodio, perché qualcuno non lo consideri fantasioso o inventato, ha reso testimonianza Cornelio Balbo, intimo amico di Cesare. Negli ultimi giorni Cesare venne a sapere che le mandrie di cavalli che aveva consacrato, quando attraversò il Rubicone, al dio del fiume, e lasciava libere di correre, senza guardiano, si rifiutavano di nutrirsi e piangevano continuamente. Per di più, mentre faceva un sacrificio, l’aruspice Spurinna lo ammonì di «fare attenzione al pericolo che non si sarebbe protratto oltre le idi di marzo». Il giorno prima delle idi un piccolo uccello, con un ramoscello di lauro nel becco, volava verso la curia di Pompeo, quando volatili di genere diverso, levatisi dal bosco vicino, lo raggiunsero e lo fecero a pezzi sul luogo stesso. Nella notte che precedette il giorno della morte, Cesare stesso sognò di volare al di sopra delle nubi e di stringere la mano di Giove; la moglie Calpurnia sognò invece che crollava la sommità della casa e che suo marito veniva ucciso tra le sue braccia; poi, d’un tratto, le porte della camera da letto si aprirono da sole. In seguito a questi presagi, ma anche per il cattivo stato della sua salute, rimase a lungo indeciso se restare in casa e differire gli affari che si era proposto di trattare davanti al Senato; alla fine, poiché Decimo Bruto lo esortava a non privare della sua presenza i senatori accorsi in gran numero che lo stavano aspettando da un po’, verso la quinta ora uscì. Camminando, prese dalle mani di uno che gli era venuto incontro un biglietto che denunciava il complotto, ma lo mise insieme con gli altri, come se volesse leggerlo più tardi. Dopo aver fatto quindi molti sacrifici, senza ottenere presagi favorevoli, entrò in curia, passando sopra ogni scrupolo religioso, e si prese gioco di Spurinna, accusandolo di dire il falso, perché le idi erano arrivate senza danno per lui. Spurinna, però, gli rispose che erano arrivate, ma non erano ancora passate.”

Cesare dunque sapeva perfettamente di andare incontro a morte certa qualora fosse entrato nel Senato ma decise di affrontare il proprio destino quasi in maniera irriverente, quasi a voler sfidare la morte che si celava pochi passi oltre.

Cesaricidio, il racconto dell’Uccisione di Caio Giulio Cesare

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Caio Giulio Cesare viene ucciso a Roma, all’interno del Senato, alle ore 11 del 15 marzo del 44 a.C. durante le “Idi“.

All’entrata nel Senato Giulio Cesare venne avvicinato da Tullio Cimbro che gettandosi ai suoi piedi gli prese la toga, un segnale concordato con gli altri “cesaricidi“, questo il nome di coloro che uccisero Giulio Cesare, che gli si avventarono contro pugnalandolo ben 23 volte.

Il racconto della morte di Giulio Cesare è stato riportato da Svetonio nel libro “Vite di Cesare“.

“«Quando si accorse che lo aggredivano da tutte le parti con i pugnali nelle mani, si avvolse la toga attorno al capo e con la sinistra ne fece scivolare l’orlo fino alle ginocchia, per morire più decorosamente, con anche la parte inferiore del corpo coperta. Così fu trafitto da ventitré pugnalate, con un solo gemito, emesso sussurrando dopo il primo colpo; secondo alcuni avrebbe gridato a Marco Bruto, che si precipitava contro di lui: “Anche tu, figlio?”. Rimase lì per un po’ di tempo, privo di vita, mentre tutti fuggivano, finché, caricato su una lettiga, con il braccio che pendeva fuori, fu portato a casa da tre schiavi.» Cadde ai piedi della statua di Pompeo.”

La morte di Giulio Cesare è di una violenza inaudita, delle 23 coltellate inferte solo la seconda, specificherà Svetonio, fu quella mortale e portata in pieno petto.
Cesare muore con onore coprendosi il capo con la toga, un gesto che precede una morte comunque decorosa ma altrettanto sofferta.
Gli assassini addirittura per accertarsi che fosse morto lo lasciarono a terra privo di vita per diverso tempo e poi, per pietà più che dovere, lo caricarono su una lettiga e lo fecero portare a casa da tre schiavi nella fuga generale.

Frasi storiche o falsi storici?

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In merito alla morte di Cesare due sono le frasi che sono passate alla storia e riportate anche da fonti antiche molto autorevoli, come appunto Svetonio.

La prima frase, forse la più famosa, è attribuita a Caio Giulio Cesare che dopo la prima coltellata avrebbe esclamato: “Tu quoque, Brute, fili mi“, la traduzione in italiano è “Anche tu Bruto, figlio mio“.

In realtà gli storici dell’epoca romana nel corso degli anni hanno potuto accertate che questa frase fosse in realtà un “falso storico“.
Giulio Cesare non avrebbe infatti mai potuto pronunciare questa frase in quanto Bruto non era nemmeno suo figlio come diverse fonti ci indicano, es. Plutarco (Bruto), Appiano (Le guerre civili) e Svetonio (Vite di Cesare).

Tuttavia la madre di Bruto, Servilia Cepione, era una donna affascinante e politicamente potente, la cui relazione con Cesare era nota a tutti e di antica data, per cui è facile sbagliarsi e ritenere Bruto come figlio di Cesare ma non lo era e non era nemmeno mai stato adottato.

L’altra frase piuttosto famose è quella attribuita a Bruto che durante l’uccisione di Cesare avrebbe esclamato: “Sic Semper Tyrannis” la cui traduzione è “Così sempre ai tiranni”.

Una frase però che Plutarco condanna poiché considerata inverosimile e infatti è frutto di una aggiunta apocrifa, cioè non è stata mai detta da Bruto.

Di Leonardo Vilona

Mi chiamo Leonardo Vilona, ho 26 anni e sono un docente di scuola secondaria. Sono laureato triennale in Storia, Antropologia e Religioni. Titolo di laurea conseguito all’Università La Sapienza di Roma nel 2019. Sono laureato magistrale in Scienze Storiche. Medioevo, età moderna, età contemporanea. Titolo di laurea conseguito all'Università La Sapienza di Roma nel 2021 con votazioni di 110/110. Sono un appassionato di storia, attualità, letteratura, politica, sport e di esport, nel tempo libero inoltre mi dedico al gioco degli scacchi e al tennistavolo. Se volete mandarmi un messaggio privato inviate una mail a: leonardo.vilona@gmail.com

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