Zanardelli, stanco e malato, nel novembre del 1903 si ritirò dalla vita politica e suggerì al re di affidare a Giolitti l’incarico di formare un nuovo governo. Iniziò così “L’età giolittiana”, il periodo storico dominato dallo statista piemontese.
Giolitti abbandonò il modello autoritario di Crispi ed era convinto che il movimento operaio e contadino non andasse affrontato con gli strumenti della repressione., ma con quelli del dialogo, allo scopo di integrare le masse popolari nella vita delle istituzioni.
L’invito del governo a concedere adeguati aumenti salariali ai lavoratori e la decisione di non intervenire con le forze dell’ordine negli scioperi erano considerati un pericoloso cedimento al sovversismo.
Tale linea, al contrario era particolarmente apprezzata da Filippo Turati, leader della corrente riformista del PSI. Per ragioni diverse, gli interessi dei due uomini politici finirono con il coincidere: per entrambi, l’obiettivo principale divenne l’attuazione di un graduale riformismo.
Per questa ragione, i socialisti fornirono più volte il loro appoggio parlamentare al governo di Giolitti su singole iniziative, pur non assumendo mai, comunque, cariche ministeriali.
Questo atteggiamento, tuttavia, scatenò una forte opposizione interna al Psi.
Fin dalla sua fondazione, infatti, nel Partito socialista avevano convissuto sia l’ala riformista che quella anarchica e rivoluzionaria (massimalista).
Il confronto politico con le opposizioni favorì l’introduzione di una più avanzata legislazione sociale: fu reso obbligatorio il riposo domenicale, fu vietato il lavoro notturno delle donne e vennero introdotte delle facilitazioni per le lavoratrici gestanti, il limite di età per il lavoro infantile fu portato a 12 anni, la cassa di assicurazione sugli infortuni e di previdenza per la vecchiaia, istituita nel 1896, che si reggeva sui contributi volontari ricevette sovvenzioni statali, fu creato un consiglio superiore del lavoro e un commissario per la protezione degli emigranti, furono statalizzate le ferrovie e infine le spese per l’istruzione elementare furono trasferite allo stato.
L’intervento legislativo più importante, tuttavia, fu l’introduzione del suffragio universale maschile.
Nel novembre 1901, nelle campagne padane si sviluppò un movimento organizzato dei braccianti, che portò alla fondazione della Federazione italiana dei lavoratori della terra, un’associazione che contava circa 200,000 iscritti.
In tutte le città del nord furono ricostruite le camere del lavoro. Il 1° ottobre 1906, al congresso di Milano fu fondata la Confederazione generale del lavoro CGDL.
Lo scontro con la minoranza massimalista si mantenne acceso fino a giungere alla spaccatura del 1912 quando i sindacalisti rivoluzionari decisero la costituzione al congresso di Modena dell’Unione sindacale italiana.
La ripresa del movimento operaio ebbe come conseguenza un incremento degli scioperi e non meno sentito era il problema dei bassi salari.