Ho il piacere di ospitare sulle pagine di “Un istante con la storia”, Riccardo Bernabei, laureando in Storia, antropologia e Religioni all’università la Sapienza di Roma.
Il suo articolo è un condensato di fatti, analisi, approfondimenti di uno degli eventi più significativi del nostro recente passato, l’esodo Giuliano-Dalmata.
Nella terza parte del racconto, invece, in relazione a questo avvenimento, Bernabei ci porta alla scoperta di uno scorcio di Roma che si trova lungo la via Laurentina chiamato “Quartiere giuliano-dalmata”, rispondendo alla domanda che è alla base di questo racconto.:”Perchè esiste questo quartiere?”.

IL CONTESTO

La Dominazione asburgica

La fascia costiera che va da Trieste alle Bocche di Cattaro (attualmente nel Montenegro) ha visto la presenza di diversi gruppi di popolazioni: latine, slave e germaniche. Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale l’intera regione è politicamente parte dell’impero Austro-Ungarico.

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Determinare le cause dello scoppio del conflitto fra le diverse etnie che per secoli avevano abitato quei luoghi è assai complesso.
Con una estrema semplificazione si possono individuare tre processi il cui concorso porterà ad un certo inasprimento della situazione: i cambiamenti demografici e sociali, la nascita dei movimenti nazionali e la politicizzazione delle masse.
Fino al ‘700 le città costiere sono identificabili come italiane dal punto di vista linguistico e culturale. La situazione inizia a cambiare con lo sviluppo economico dell’ultima fase della dominazione asburgica che porta grandi fette della popolazione rurale, a maggioranza slava, ad inurbarsi.
Protagoniste di questi cambiamenti sono soprattutto Trieste e Fiume.
Anche nei secoli precedenti vi erano stati movimenti della popolazione slava verso le città, ma queste masse rurali si erano rapidamente assimilate. In questo caso invece i nuovi cittadini si assimilano più lentamente di come era avvenuto in passato dato che trovano nelle città nuclei di classe dirigente slava.
Nello stesso periodo nell’Impero Asburgico si erano sviluppati diversi movimenti nazionali che portano avanti processi di nazionalizzazione delle masse competitivi e paralleli.

10361Nella regione in questione si sviluppano da una parte il nazionalismo italiano, che si rifà soprattutto ad una concezione volontaristica della nazione, dall’altra i nazionalismi croato e sloveno, che adottano soprattutto una concezione etnicista.
Questi movimenti hanno in comune però diversi punti, in particolare l’intolleranza, cioè la rivendicazione per il proprio gruppo dell’intero territorio e l’uso del mito dell’autoctonia.
Infine visto l’ingresso delle masse sulla scena politica le élites urbane italiane iniziano a temere di perdere la propria egemonia culturale e hanno paura di assistere ad una “slavizzazione” delle proprie città.
Se sotto la Duplice Monarchia italiani, serbi e croati erano sì minoranze con un proprio stato nazionale di rifermento (Italia e Serbia) ma erano inserite in un contesto multietnico con la fine dello Stato Asburgico italiani e slavi che si ritrovano oltre i confini del proprio stato si ritrovano ad essere inseriti in uno Stato-Nazione che non è il loro.

Per le prime due sezioni il testo di riferimento è stato Raoul Pupo Il lungo esodo: Istria, le persecuzioni, le foibe, l’esilio, Rizzoli, Milano 2005.

Dopo la Prima Guerra Mondiale

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La Grande Guerra cambia l’assetto della regione. Infatti si dissolve l’Impero Austro-Ungarico mentre nasce il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (poi Jugoslavia). La sistemazione del Trattato di Rapallo (1920) prevedeva la spartizione dell’area fra 3 stati: l’Italia ottiene Trieste, Gorizia, l’Istria e le isole del Quarnaro, mentre la Dalmazia andava al Regno jugoslavo, eccetto Zara e Lagosta che erano un’exclave italiana. Infine si veniva a costituire lo Stato Libero di Fiume, che però avrà vita breve dato che 1924 verrà annesso all’Italia (eccetto Porto Baros e parte dell’entroterra che invece furono assegnati alla Jugoslavia).

L’esodo slavo

Un primo spopolamento dell’area era già avvenuto nel corso del conflitto, in parte volontario, in parte a causa dello sgombro di alcune aree ordinato dagli austriaci per motivi bellici. Molti di coloro che se ne erano andati non torneranno più nelle loro terre divenute parte dello Stato italiano.
Nel dopoguerra si assiste ad un consistente flusso di emigrazione della popolazione slava dalle terre assegnate all’Italia, sia verso la Jugoslavia che verso le Americhe; si stima che in tutto furono circa in 50.000 ad emigrare, ma la cifra è puramente congetturale.

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Innanzitutto l’annessione all’Italia fu per la regione un grande danno dal punto di vista economico, poiché perdeva la funzione di sbocco al mare dell’Europa Centrale per divenire un’area periferica nel quadro dell’economia italiana.
L’altra spinta decisiva venne dalla politica fascista di “bonifica etnica”, volta ad assimilare totalmente le popolazioni slovene e croate cancellando ogni traccia della loro lingua e della loro cultura. Venne proibito qualunque uso pubblico delle lingue slave, fu vietato di dare nomi slavi ai propri figli, si impose l’italiano nelle scuole, vennero italianizzati i cognomi e vennero sciolte tutte le associazioni di qualunque tipo delle due minoranze. Inoltre nel momento in cui il fascismo adottava politiche volte a scoraggiare l’emigrazione degli italiani nel Nuovo Mondo queste non venivano applicate a sloveni e croati, che invece venivano incoraggiati a lasciare le loro terre.
Infine a partire dalla metà degli anni ’30, a causa della politica espansionistica del regime, un gran numero di giovani decise di emigrare all’estero per evitare la chiamata alle armi (se non addirittura per disertare).
Questo fenomeno migratorio, se pur consistente dal punto di vista numerico comunque non significherà la fine della presenza slava in quei territori.

La seconda Guerra Mondiale

Il 6 aprile 1941 le truppe dell’Asse invadono la Jugoslavia sconfiggendola rapidamente. Nei territori occupati si sviluppa rapidamente un movimento di resistenza, nel quale sono protagonisti i comunisti guidati da Tito. Alle azioni dei partigiani seguono violente rappresaglie degli occupanti.
Gli italiani deportarono in campi di internamento circa 30.000 persone, popolazione civile residente nelle zone a più alta densità partigiana. I partigiani sono particolarmente attivi a Trieste e a Fiume, mentre si limitano a occuparsi di propaganda e reclutamento nella penisola istriana. A liberare la Jugoslavia sarà proprio l’esercito di Tito.

Franco Ceccotti (a cura di), “Un esilio che non ha pari”. 1914-1918. Profughi, internati ed emigrati di Trieste, dell’Isontino e dell’Istria, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, Gorizia 2001
Piero Purini, L’emigrazione non italiana dalla Venezia Giulia dopo la prima guerra mondiale, in “Qualestoria”, XXVIII
(2000), n.1

Le Foibe

Gli episodi designati come “Foibe” indicano le violente uccisioni perpetrate dai titini sulla
popolazione giuliano-dalmata in tre fasi distinte. È difficile quantificare esattamente il numero delle vittime, comunque gli storici concordano su un numero minimo oscillante fra le 4.000 e le 5.000.
Le prime violenze avvennero nel periodo che va dal 9 settembre al 13 novembre del 1943 quando, dopo l’armistizio italiano, per breve tempo gli jugoslavi occuparono le zone interne dell’Istria, prima che queste zone fossero occupate dalle truppe naziste.
La seconda fase si colloca fra l’ottobre e il novembre 1944 e riguarda in particolare Zara
La terza fase è quella delle repressioni avvenute dopo la fine della guerra. Ad essere colpite in questo momento furono soprattutto Trieste, Gorizia (occupate per soli 40 giorni prima di passare in mano alleata) e Fiume.

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Ad essere colpiti non furono solamente fascisti, nazisti e collaborazionisti, ma in generale gli impiegati statali e i membri della classe dirigente italiana e i proprietari terrieri. Le repressioni jugoslave alla fine della guerra colpirono anche i membri del CLN e gli sloveni anticomunisti. Non si intende qui affrontare il complesso tema della ricostruzione e dell’interpretazione di quegli eventi, resta comunque il fatto che ad essere colpiti non furono solamente i fascisti, ma in generale coloro che potevano essere potenzialmente pericolosi per la tenuta della Jugoslavia comunista e che il clima di violenza sarà determinante nell’incoraggiare tante persone ad abbandonare la Jugoslavia.

La Pace di Parigi

Il trattato di Parigi stabiliva a la cessione dell’Istria e della Provincia di Zara alla Jugoslavia, oramai repubblica socialista sotto la guida di Tito, mentre all’Italia rimaneva Gorizia. Venne inoltre decisa la creazione del Territorio libero di Trieste, diviso in due zone. Una Zona A comprendente Trieste e Muggia era retta da un governo militare alleato, mentre la zona B, comprendente Capodistria, Pirnao, Isola d’Istria, Umago e Civitanova era retta da un governo militare jugoslavo.

La Guerra Fredda

Quello italo-jugoslavo non era semplicemente il confine fra due stati ma rappresentava il confine fra la sfera di influenza americana e quella sovietica. Mentre l’Italia iniziava la propria vita repubblicana e democratica in Jugoslavia si era imposto il regime comunista filosovietico guidato da Tito.

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La situazione però cambia quando i comunisti jugoslavi verranno cacciati dal Cominform il 28 giugno del 1948, e la Jugoslavia diventerà un importante cuscinetto fra l’Italia e i paesi del socialismo reale. La rottura fra Tito e Stalin avrà importanti ripercussioni sulla storia dell’esodo.
Innanzitutto cambiano totalmente i rapporti fra Italia e Jugoslavia con la prima interessata a mantenere buoni rapporti e a conservare il potere di Tito. Inoltre, come sarà spiegato in seguito ne risentiranno particolarmente i comunisti italiani trasferitisi in Jugoslavia.

 

 

Di Riccardo Bernabei

Riccardo Bernabei è uno storico laureatosi in Scienze Storiche all'Università La Sapienza di Roma. Innamorato della storia e delle sue innumerevoli sfaccettature è autore di numerosi articoli storici su History Facts e non solo!

Un pensiero su “L’esodo Giuliano-Dalmata (parte 1)”

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