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Vita

Eugenio_Montale

 

Eugenio Montale nacque a Genova il 12 ottobre 1896 da una famiglia benestante. A causa della sua salute cagionevole, il giovane Eugenio compì studi irregolari, ma si diplomò comunque ragioniere nel 1915, dedicandosi anche con passione alla musica e al canto.

Nell’autunno del 1917 si arruolò volontario e combattè in Trentino, prima a Vallarsa e poi nella zona di Rovereto. Finita la guerra, tornò a Genova e nel 1920, a Monterosso, conobbe la giovanissima Anna degli Uberti che, col nome di Arletta, fu una delle donne ispiratrici della sua poesia.

Nel 1922 pubblicò alcune delle sue liriche sulla rivista “Primo tempo”, diretta da Piero Gobetti e dai critici letterari Giacomo Debenedetti e Sergio Solmi. Nello stesso anno fu uno dei firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce, prendendo così le distanze dal fascismo.

Sempre in quegli anni Montale si dedicò all’attività di critico letterario collaborando con alcune riviste. Montale orientò sempre più i suoi interessi verso la letteratura in lingua inglese, soprattutto dopo aver conosciuto, nel 1926, il poeta americano Ezra Pound e il poeta inglese Thomas Stearns Eliot, di cui tradusse un poemetto.

Nel 1927 si trasferì a Firenze, dove trovò dapprima un impiego presso l’editore Bemporad e poi, due anni dopo, ottenne la direzione del Gabinetto Vieusseux, un prestigioso istituto culturale. Nella città toscana divenne amico dell’anglista Mario Praz e del critico Gianfranco Contini; collaborò alla rivista “Solaria” e frequentò molti degli scrittori che ne facevano parte come Vittorini, Bonsanti e Gadda. L’influenza di Contini e soprattutto di Eliot fu decisiva nell’indirizzarlo agli studi danteschi.

Nel 1938 perse l’impiego al Gabinetto Vieusseux perché non iscritto al Partito fascista. Nel periodo della seconda guerra mondiale rimase a Firenze, vivendo di traduzioni e di collaborazioni giornalistiche, inoltre salvò in clandestinità Carlo Levi e Umberto Saba poiché ebrei.

Nel 1984 si trasferì a Milano, dove iniziò a collaborare assiduamente con il “Corriere della Sera”, quotidiano per il quale scrisse recensioni di opere letterarie, articoli di critica musicale e vari reportage di viaggi culturali in diversi paesi del mondo, raccolti in “Fuori di casa”.

Nel 1975 gli fu conferito il premio Nobel per la letteratura; in quella occasione pronunciò presso l’Accademia di Svezia, il discorso dal titolo provocatorio:”E ancora possibile la poesia?”.

Montale morì a Milano il 12 settembre 1981.

 

Opere

Il sentimento alla base delle poesie è l’amara presa di coscienza del “male di vivere”; il paesaggio è quello brullo della Liguria, la cui scabrosità diventa emblema di una disarmonia interiore. Da qui la distanza dalle cose e la solitudine espresse attraverso uno stile ricco di suoni aspri e duri.

  • Risale al 1939 la seconda raccolta, “Le occasioni“, dove ricordi, amori, incontri, “occasioni” della vita del poeta si compongono sul filo della rievocazione, rivelando significati nascosti, con il risultato di una poesia in molti casi oscura. Mentre gli Ossi sono espressione della consapevolezza del male di vivere del poeta, nella seconda raccolta c’è la ricerca di ciò che potrebbe costituire un’eccezione alla negatività dell’esistenza. Nelle Occasioni compaiono alcune figure femminili, tra le quali Clizia, che si presenta come misteriosa presenza salvifica.
  • La prima raccolta di Eugenio Montale è chiamata “Ossi di Seppia“, pubblicata da Piero Gobetti nel 1925.
  • L’opera letteraria “bufera e altro“, rappresenta la terza raccolta di liriche pubblicata nel 1956, contiene poesie composte negli anni del secondo conflitto mondiale e dell’immediato dopoguerra. In questa fase Montale sembra farsi partecipe del dramma della società sconvolta dalla tragedia della guerra, ma, ancora una volta, gli eventi non sono che occasioni per un’analisi della propria condizione esistenziale. Infatti nella Bufera ricompare la figura di Clizia che, come una novella Beatrice dantesca, assume le forme della donna angelo, dalla natura salvifica. A Clizia, però, si contrappone la figura della Volpe, donna inquietante e sensuale. Nella Bufera si fa sempre più intensa la sua concezione pessimistica della vita. Ma i toni cupi di molte liriche e la visione negativa della società si scontrano con il clima di entusiasmo del dopoguerra, con la fiducia nel progresso sociale ed economico. Per questo La Bufera e altro segna una battuta d’arresto nella produzione poetica di Montale, che interromperà il suo silenzio poetico solo negli anni Sessanta, con la nuova poesia di Satura e delle ultime raccolte.
  • Satura è una delle ultime fatiche di Montale; contiene la sezione “Xenia”, dedicata alla moglie da poco scomparsa, in cui egli recupera una dimensione intima, fatta di rimpianto, dolore e nostalgia. In quest’opera, emerge l’aspra critica alla società di massa, che rende difficile fare poesia. La lirica montaliana assume decisamente un carattere diari stico e prosastico e anche i temi sono spesso legati a eventi quotidiani o a fatti di attualità, senza rinunciare al tono satirico e alla critica del presente. 

Montale scrisse anche in prosa.

L’opera più significativa è “Farfalla di Dinard” (1956), brevi racconti che sembrano ricostruire una biografia spirituale del poeta, scritti tra il 1946 e il 1950, sul tema dell’impossibilità di salvezza per l’uomo. Due sono le raccolte di saggi e articoli legate alla sua attività di giornalista: “Auto da fè”, un libro di riflessioni di argomento morale e culturale, e “Fuori di casa”, che raccoglie i suoi reportage, nei quali affiora un atteggiamento di indifferenza e snobismo nei confronti della società borghese.

 

Pensiero e la poetica

Secondo Montale la poesia nasce dalla dolorosa meditazione sulla propria condizione ed è la forma di vita di chi non vive veramente.

Da questa presa di coscienza ha origine l’esperienza di un uomo che sente intimamente il dramma dell’inconciliabilità tra la vita e la parola, tra una sensibilità capace di cogliere gli aspetti anche più nascosti dell’esistenza e l’impossibilità di tradurre le sensazioni in parole, le quali costituiscono il “muro” che impedisce di attingere alla vita.

Per Montale, dunque, la poesia non è né una forma di confessione né uno strumento per indagare gli aspetti concreti della realtà, ma piuttosto una sorta di testimonianza con cui il poeta affida a un interlocutore le sue riflessioni sul disagio esistenziale dell’uomo. In una intervista apparsa nel 1960 sulla rivista “Quaderni milanesi”, Montale definì la propria poesia metafisica, perché nasce dal cozzo della ragione contro qualcosa che non è ragione, per attingere alla profondità irrazionale della realtà.

Al fondo della concezione di Montale vi è una visione pessimistica della vita, che si esplicita nella celebre definizione del “male di vivere”. Questa idea è alla base delle prime due raccolte di Montale, Ossi di seppia e Le occasioni, ma subisce un’evoluzione nel corso dei decenni successivi. Infatti dal pessimismo esistenziale delle prime due raccolte, con La bufera e altro (1956) Montale approda a un pessimismo storico e sociale, quando la speranza di poter recuperare una dimensione spirituale e metafisica da contrapporre alla vita pratica crolla definitivamente sotto i colpi della “bufera” della guerra e dell’”altro”, cioè il difficile dopoguerra in cui l’intellettuale è chiamato all’impegno civile della ricostruzione attraverso la poesia.

Quando negli anni Sessanta Montale interrompe il suo silenzio poetico, si accentua la sua visione negativa del mondo e gli eccessi della società dei consumi, che calpestano ogni forma di dignità morale, diventano il suo obiettivo polemico. Da qui gli accenti ironici delle sue ultime raccolte, nelle quali all’armonia, sia pure aspra, della poesia di un tempo, subentra una musicalità dissonante. La percezione di una realtà priva di senso si traduce così in un linguaggio prosastico, caratterizzato da rumori, che rende efficacemente l’idea della totale confusione dei valori della società. Montale, mentre sottolineava i limiti culturali della società del tempo, lasciava comunque aperta la speranza nella sopravvivenza della poesia anche nel mondo del consumismo e dell’appiattimento culturale.

Nella sua poesia, Montale è sempre alla ricerca di un “varco” verso l’essenza delle cose e confida in un miracolo, la dissoluzione della realtà degli oggetti, per rivelare ciò di cui è intimamente convinto, ossia la nullità dell’esistenza. Due sono gli elementi attraverso cui Montale tenta un contatto con una dimensione più autentica: la poetica degli oggetti e le figure femminili, sempre depositarie di un valore simbolico che trascende il dato biografico e reale.

Nella sua poesia Montale privilegia, piuttosto che le parole come suono puro, la concreta determinazione di fatti ed oggetti. La scelta del poeta è indirizzata agli elementi della realtà comune con la quale è quotidianamente a contatto, come il paesaggio aspro e assolato della Liguria. Oggetti, immagini e voci della natura diventano per lui emblemi della condizione umana, soprattutto di quel “male di vivere” che nasce dalla mancanza di certezze e dalla negazione di ogni illusione. Si va quindi delineando una poetica degli oggetti, un modo cioè di esprimere la condizione esistenziale attraverso oggetti o elementi del paesaggio che li evocano. E’ esplicita, in questa concezione della poesia, la coincidenza con la poetica del correlativo oggettivo formulata da Eliot, in base alla quale l’unico modo per dare espressione artistica all’emozione è di trovare un correlativo oggettivo, cioè un insieme di oggetti che sara’ la formula di quella particolare emozione.

Tale procedimento è evidente nelle liriche degli Ossi e delle Occasioni, dove gli oggetti si caricano di un valore allegorico e metafisico tale da farli diventare l’unica presenza tangibile e concreta dell’esistenza come in Dora Markus, dove gli oggetti di vita quotidiani del trucco diventano correlativo oggettivo dell’inquieta personalità di Dora e un piccolo “amuleto”, un topo bianco, assume valore salvifico per la donna.

In questo modo, la poetica del correlativo oggettivo si lega a un altro elemento fondamentale della poesia monta liana, la rivelazione che, improvvisa, è in grado di condurre l’uomo verso una realtà più autentica.

La poesia di Montale è popolata da numerose figure di donne che assumono valenze e significati diversi, quali speranza salvifica, occasione di ricordo, fantasma del passato con cui dialogare per sfuggire alla negatività del presente, evocazione di un “altro tempo”, quello della morte. Le figure femminili della poesia monta liana non sono mai descritte fisicamente, ma piuttosto fissate in un gesto, in un particolare, che le caratterizza e ne rivela l’intima essenza: si tratta, infatti, di trasfigurazioni poetiche di donne reali, dagli attributi alti e rarefatti, donne assenti o lontane con cui il poeta non puo’ avere un rapporto diretto, in quanto incarnazioni di un sogno, collocate quindi in una dimensione “altra” rispetto a quella del vivere comune.

Legata all’adolescenza di Montale e alle atmosfere giovanili Ossi di seppia è Arletta, pseudonimo di Anna degli Uberti, una ragazza conosciuta dal poeta durante i suoi soggiorni a Monterosso. Ella consente a Montale di sviluppare una poetica basata sull’assenza: la donna compare in fugaci apparizioni e si configura come un’improvvisa rivelazione in grado di portare un segnale di salvezza e come forza salvifica che, sola, puo’ aiutare il poeta a scendere nell’inferno dei vivi.

L’immagine della donna salvifica, di una donna angelo, si condensa soprattutto nella figura metafisica di Clizia, cui sono dedicate numerose liriche e gran parte della sezione dei “Mottetti” delle Occasioni, che costituisce un’autobiografia dell’amore del poeta per Irma Brandeis. Montale attribuisce all’amata il nome mitologico di Clizia che incarna i valori della cultura e della poesia contro la follia e la barbarie del nazifascismo. Clizia appare in varie forme e la sua funzione è quella di soccorrere il poeta, diventando Allegoria di una religione intesa in senso laico, come valore assoluto della cultura e del riscatto degli uomini dalla tragedia della guerra e dalla follia dei dittatori.

Clizia torna nella sezione “Finisterre”, la prima della Bufera e altro, come figura divina di sostegno al poeta nell’abbruttimento del presente.

Con la scomparsa della donna angelo a causa della guerra, il poeta rivolge il suo sguardo più verso il cielo, ma verso il mondo reale e concreto degli uomini, rappresentato dalle figure di: Mosca, Volpe e Crisalide. Volpe rappresenta l’anti-Beatrice per eccellenza, sensuale e terrestre, portatrice di un eros concreto. A lei è dedicata la sesta sezione della Bufera, “Madrigali privati”, che si conclude con la presa di coscienza del fallimento di una possibilità di salvezza collettiva.

Mosca segna il passaggio all’ultima stagione poetica, in cui alla dimensione spirituale si sostituisce una realtà quotidiana e privata. Mosca rappresenta la concretezza e il buon senso capaci di fornire una guida nella vita; è una presenza affettuosa il cui ricordo sembra essere l’unico conforto alla negatività del presente e suggerisce il valore di una vita fatta di piccoli gesti.

Tra le altre figure femminili ricordiamo Crisalide, a cui sono dedicate alcune liriche degli Ossi di seppia e i primi tre “Mottetti” delle Occasioni. La donna è emblema della pulsione vitale e sensuale, e rappresenta anche colei che condivide la pena del poeta prigioniero della realtà quotidiana, in una ricerca che è, tuttavia, destinata al fallimento.

I modelli e le scelte stilistiche

Nella cultura e nella poesia di Montale confluiscono le più significative esperienze della letteratura italiana ed europea dell’Ottocento e del Novecento: in lui riecheggiano temi di Leopardi, per la sua dolorosa e pessimistica visione della vita; è presente anche l’interesse per le “piccole cose” e per il linguaggio talora semplice e familiare di Pascoli e dei crepuscolari, soprattutto Gozzano. Ma intensi, come s’è detto, sono anche i rapporti con la cultura europea.

Oltre alla vicinanza a Eliot, fondamentale nella formulazione di una “poetica dell’oggetto”, in Montale si colgono influssi del pensiero esistenzialista e dei grandi scrittori russi, come Dostoevskij e Tolstoj, per la tensione verso la ricerca di una verità che consenta di dare valore all’esistenza.

Il linguaggio di Montale, che egli intende contrapporre allo stile ricercato e prezioso dei “poeti laureati” come D’Annunzio, è nuovo, spesso aspro, intonato al dramma dell’esistenza, alla fatica di vivere.

Il poeta cerca la parola essenziale, scabra atta a esprimere la sua angoscia esistenziale. Talvolta mescola termini precisi con termini letterari o comuni, orchestrandoli in accordi di suoni. Gli oggetti e le cose sono espressioni di sentimenti o emblemi di una specifica condizione esistenziale, e proprio da essi egli attinge l’”occasione” per fare emergere frammenti di ricordi. Nelle prime raccolte Montale adotta una metrica tradizionale, ma cerca di rielarborla, di darle un volto nuovo. Il poeta ricerca soprattutto una nuova musicalità del verso, il ritmo martellante, il fluire di suoni, a volte aspri, per intonarli alle “cose” che osserva e ascolta. Alcune scelte metrico-stilistiche rendono, almeno apparentemente, le poesie di questa raccolta più simili alla prosa, grazie all’uso di versi lunghi e dell’Enjamebement. Nell’ultima raccolta “Satura“, si accentua la tendenza verso la prosa: la rima viene sempre più mascherata grazie a soluzioni ipermetre o alla stravagante collocazione a inizio verso anziché alla fine.

Questo è Un altro istante con la Storia, Grazie ci vediamo domani!

 

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