Gli studi giuridici e filosofici

Marx_old

Karl Marx nasce a Treviri in Germania nel 1818 da una famiglia di origine ebraica.

Nel 1835 si iscrive alla Facoltà di giurisprudenza di Bonn e partecipa attivamente alla vita delle associazioni studentesche. Dopo soltanto un anno, per volontà del padre, si trasferisce a Berlino, dove l’ambiente è più austero e gli studi più severi.

Entra così in contatto con i “giovani hegeliani” e collabora con Ruge agli “annali di Halle”, una rivista che presto incontrerà forti resistenze da parte delle autorità. Nel 1841 si laurea in filosofia a Jena con una tesi intitolata Differenza tra la filosofia naturale di Democrito e quella di Epicuro.

Già in questo primo scritto emerge l’orientamento del giovane Marx per le filosofie a sfondo materialistico e naturalistico, sebbene la sua formazione filosofica sia stata improntata, come quella degli altri giovani, all’idealismo, allora dominante nelle università tedesche.

Marx, nel 1842, diviene redattore della “Gazzetta renana”, un giornale di ispirazione liberale che viene pubblicato a Colonia; attività che lo porta a interessarsi dei problemi economici e politici concreti. Il governo reazionario, però, ordina la chiusura della rivista e Marx decide di trasferirsi in esilio volontario a Parigi, dopo aver sposato la fidanzata.

 

Gli anni di Parigi e Bruxelles

A Parigi Marx soggiorna dal 1843 al 1845 e fonda gli “Annali franco-tedeschi”, in collaborazione con l’amico Arnold Ruge. Intento della rivista è quello di continuare l’opposizione politica al riparo dalla censura prussiana e in alleanza con le forze democratiche francesi.

Espulso dalla Francia nel 1845 su richiesta del governo prussiano, Marx raggiunge Bruxelles, dove fonda il partito comunista.

Tra il 1845 e il 1846 scrive la sua prima opera importante, l’Ideologia tedesca, in cui getta le basi della concezione materialistica della storia. Con le Tesi su Feuerbach del 1845, Marx prende le distanze anche da questo filosofo, riconoscendogli tuttavia il merito di aver riportato la filosofia su un terreno concreto e di aver spostato l’attenzione sull’uomo e i suoi aspetti naturali. In questo stesso periodo matura il confronto con le posizioni dei socialisti francesi, in particolare Pierre-Joseph Prudhon, che Marx critica aspramente nell’opera “La miseria della filosofia” del 1846.

 

L’impegno rivoluzionario e le opere della maturità

Nel 1847 si tiene a Londra il primo congresso della “Lega dei comunisti”, a cui partecipa Engels in rappresentanza di Marx. Alla fine dell’anno i due filosofi son o incaricati di redigere il programma della Lega: nasce così il Manifesto del partito comunista, che rappresenta una delle opere più importanti e più note del marxismo. In tale scritto, il cui motto è “proletari di tutto il mondo unitevi”, diviene esplicito l’obiettivo comunista di abbattere il dominio della borghesia per fondare una nuova società senza classi.

Dopo pochi mesi, di fronte alla possibilità offertagli dalle autorità francesi di ritirarsi in un piccolo paese della Bretagna, il filosofo si sposta a Londra, dove vivrà, con brevi periodi di interruzione, fino alla morte.

A Londra Marx vive in condizioni di estrema indigenza, anche per le aumentate esigenze della famiglia, che si è allargata con la nascita dei figli, e sopravvive grazie al generoso aiuto finanziario dell’amico Engels. Intanto, si dedica allo studio dell’economia politica, trascorrendo le sue giornate presso la sala lettura del British Mueseum, dove legge e approfondisce i testi dei maggiori economisti inglesi, da Adam Smith a David Ricardo. L’esito più significativo di questi anni di studio è la stesura della sua opera principale, “il Capitale”, il cui primo volume viene pubblicato nel 1867 ad Amburgo. Marx muore all’età di 65 anni nel 1883. Il secondo e il terzo volume del Capitale appaiono postumi nel 1885 e nel 1894, grazie al lavoro di Engels che ne decifra i manoscritti.

Marx: l’analisi dell’alienazione operaia e l’elaborazione del materialismo storico

L’interpretazione della religione

Il pensiero marxiano è complesso ed articolato, spazia dalla filosofia all’economia, dal diritto alla sociologia, e mira a fornire un’interpretazione complessiva della società borghese e capitalistica, quale si era venuta configurando intorno alla metà dell’Ottocento, il secolo dell’industria e della scienza moderna che aveva fatto registrare un grande sviluppo economico, ma aveva anche creato un’enorme massa di diseredati e sfruttati: la classe operaia.

Marx apprezza la critica svolta da Feurbach, il quale aveva individuato l’origine umana della religione e dell’idea di Dio, mostrando l’aspetto fortemente conservatore insito nella fede. Inoltre Feuerbach aveva ricondotto la filosofia dalla speculazione astratta all’indagine sull’uomo concreto, inteso come un ente naturale inserito nella società. Nella religione, per Marx, si riflette il bisogno di consolazione dell’uomo sofferente e oppresso nella vita sociale. La religione è dunque l’oppio del popolo. Al contrario di Feuerbach, per Marx non è la religione che favorisce l’instaurarsi della dipendenza e dello sfruttamento, ma è la condizione di sfruttamento che fa sì che l’uomo crei, attraverso la religione, una dimensione alternativa grazie alla quale poter continuare a vivere e a sperare. Pertanto, se per abbattere l’oppressione materiale secondo Feuerbach occorreva abolire la religione, per Marx, invece, è necessario trasformare la realtà, superare concretamente l’ingiustizia e la disuguaglianza affinchè l’uomo non abbia più bisogno di trovare espedienti per far fronte alla sua insoddisfazione.

 

Il fenomeno dell’alienazione

Uno dei primi problemi che Marx affronta è dunque quello di ricercare le radice profonde dell’”alienazione”, mostrandone la stretta connessione con le condizioni economiche e sociali degli operai dell’industria moderna. Marx afferma che l’alienazione non è un fenomeno “spirituale”, in virtù del quale l’uomo si lega a una religione o si sottomette a una Chiesa, ma è un fatto concreto, l’espressione storica di quella “disumanizzazione” che caratterizza i rapporti lavorativi nella società capitalistica. Marx individua quattro aspetti fondamentali dell’alienazione dell’operaio. In primo luogo questi è alienato nei confronti del prodotto della sua attività: il sistema capitalistico implica infatti che il lavoratore produca oggetti che non gli appartengono, che gli sono estranei, di cui egli non puo’ godere, perché spettano a un altro, il capitalista. In secondo luogo l’operaio è alienato rispetto alla sua attività, in quanto non solo il prodotto del suo lavoro, ma anche la sua stessa capacità produttiva – la sua “forza-lavoro”, secondo la terminologia marxiana – è proprietà del capitalista. La terza forma di alienazione, rivela in Marx una concezione estremamente elevata dell’attività lavorativa. Secondo il filosofo, infatti, l’uomo è un essere che realizza compitamente la propria natura soltanto nel lavoro. Nel sistema capitalistico, però, il lavoro perde tale connotazione positiva: non è più l’ambito di realizzazione della libertà e della creatività, ma una modalità di sfruttamento in cui si assiste alla riduzione a cosa del lavoratore e al suo progressivo abbrutimento. Gli operai salariati, vendendo al capitalista quell’attività in cui risiede il significato autentico del loro essere, si trovano a condurre un’esistenza simile alle bestie.

L’ultima forma di alienazione è strettamente collegata alle altre, nel sistema produttivo capitalistico, infatti, il lavoratore è escluso da ogni forma di vita sociale autenticamente “umana”, cioè quella in cui egli, potendo disporre del frutto del proprio lavoro, lo condivide e ne gode con gli altri, in un’interazione feconda tra persone libere e realizzate. Il salariato, invece, si relaziona soltanto con il capitalista, che è proprietario, come abbiamo detto, non solo dell’oggetto del lavoro, ma dell’attività di colui che produce e, dunque, della sua esistenza e della sua “umanità”.

La proprietà privata e il suo superamento

In queste prime analisi condotte sulla condizione degli operai, Marx giunge alla consapevolezza che, per uscire dallo stato di alienazione e asservimento non è sufficiente esercitare una funzione critica, elaborare teorie e speculazioni astratte, nella speranza che queste condizionino la coscienza dei governanti e influenzino la loro azione sociale; è indispensabile, invece, modificare la base materiale della società, rovesciare dialetticamente quei rapporti su cui è fondato lo sfruttamento, passare, in altre parole, dalla filosofia alla rivoluzione, dalle idee alla loro realizzazione concreta, dalla teoria alla prassi. Ciò significa individuare e sradicare la causa che ha determinato la condizione di alienazione; causa che Marx identifica con il sistema della proprietà privata, il quale affonda le proprie radici nel principio della divisione di lavoro. E’ questo il motivo della prima divisione tra il lavoro manuale e quello intellettuale, che puo’ essere considerata la precondizione della frantumazione della società in classi contrapposte.

Ora, se la condizione di alienazione dipende dal sistema dello sfruttamente, il suo superamento implica l’eliminazione della proprietà privata e questo comporta la negazione radicale della società borghese e delle sue istituzioni il cui principio di fondo è quello della libertà individuale in campo sociale ed economico.

In esso, infatti, i cittadini si trovano ad essere tutti guali di fronte alla legge, cioè di fronte allo Stato, ma differenti nella società civile, dove regnano gli interessi privati e i contrasti tra le classi; sono “uguali di diritto” e “disuguali di fatto”. Nei Manoscritti Marx è esplicito su questo punto: occorre promuovere una “rivoluzione sociale” che abbia come protagonista il proletariato, cioè la classe dei lavoratori sfruttati e alienati, e che miri a distruggere definitivamente lo Stato borghese per realizzare la nuova società “comunista”, in cui è abolita la proprietà privata dei mezzi di produzione e soppressa la divisione in classi.

 

Il distacco dalla sinistra hegeliana

Per Marx ci sono dei pensatori tra cui Feuerbach che sono consapevoli che sia indispensabile esercitare una critica serrata della realtà, nel tentativo di ricondurla alla razionalità; in quest’ottica rifiutano l’assunto giustificazioni sta di Hegel, che conduce all’accettazione delle istituzioni statali esistenti, auspicando, invece, una trasformazione della società e un miglioramento della vita delle persone. Tuttavia, essi ritengono che tale compito possa essere assolto dalla filosofia, dalla teoria, cioè dall’attività degli intellettuali, e che la rivoluzione ideale sia in qualche modo premessa indispensabile di quella materiale. Secondo Marx, confidando nella possibilità di agire sulla realtà modificando le idee si incorre nello stesso errore di Hegel, che aveva capovolto i rapporti tra soggetto e predicato, tra spirituale e materiale, facendo del concreto una manifestazione dell’astratto, della realtà effettuale una mera manifestazione dello spirito.

 

La concezione materialistica della storia

Alla base della concezione materialistica della storia vi è una particolare visione dell’uomo che Marx elabora mediando le posizioni di Feuerbach e di Hegel. Considerazioni queste, che convergono nella formulazione del “materialismo-storico”, la prospettiva metodologica secondo cui le forze motrici della storia non sono di carattere spirituale – come pensavano gli idealisti -, bensì di carattere materiale. Più precisamente, la storia è vista come un processo dialettico, che evolve e si trasforma sotto la spinta di dinamiche concrete di natura socio-economica. Essa coincide con il processo di traformazione delle forme di produzione, cioè con il variare di epoca in epoca delle modalità con cui gli uomini soddisfano i propri bisogni. Il compito che Marx si propone con la sua filosofia è proprio quello di comprendere il reale movimento della storia e analizzarlo in modo “oggettivo” e “scientifico”, rimuovendo le teorie e dottrine – le “ideologie”, con linguaggio marxiano –  che tendono a nascondere la verità. La cultura, infatti, è vista da Marx come uno strumento ideologico di potere, in quanto è espressione della classe dominate, la sola che puo’ permettersi di dedicare il proprio tempo alla produzione spirituale e che ha le possibilità per diffonderne i prodotti.

I concetti di struttura e sovrastruttura

La base materiale per Marx, come abbiamo già accennato, coincide con i “modi di produzione” che caratterizzano le varie epoche storiche, i quali, a loro volta, presentano due elementi fondamentali: le forze produttive e i rapporti di produzione. Le forze produttive sono costituite da tutte quelle componenti che consentono la produzione: la forza-lavoro, i mezzi utilizzati, le conoscenze tecniche e scientifiche. I rapporti di produzione invece, coincidono con l’organizzazione stessa del lavoro e con le relazioni che si stabiliscono tra i soggetti coinvolti nel processo produttivo, in particolare tra il capitalista e i suoi operai. L’insieme di tali elementi, cioè la globalità del “modo di produzione”, costituisce quella che Marx definisce “struttura della società, ovvero la sua “ossatura” economica. Essa, nella sua complessa articolazione interna, determina la “sovrastruttura”, cioè l’insieme delle varie produzioni culturali: le dottrine etiche, scientifiche, artistiche, filosofiche, le istituzioni giuridiche e religiose, le idee politiche…

Mutando le condizioni storiche di vita cambino anche i modi di valutare le cose e i comportamenti privati e sociali. Egli è convinto, infatti, che le stesse produzioni culturali e intellettuali possano a loro volta agire sulla struttura da cui derivano, come per esempio, possono rivestire un ruolo importante nel favorire la formazione di una coscienza di classe da parte dei lavoratori, promuovendo il processo di trasformazione rivoluzionario della realtà.

 

La dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione

Secondo Marx, in ogni epoca stocia a determinate forze produttive corrispondono precisi rapporti di produzione, che sono quelli più adeguati a favorire lo sviluppo e il funzionamento della produzione stessa. Tuttavia, all’interno di questo quadro generale puo’ succedere che le forze produttive progrediscano con eccessiva rapidità rispetto agli stessi rapporti di produzione e si crei pertanto una contraddizione tra i due livelli.

Ora, dal momento che le forze di produzione in sviluppo sono sempre espressione di una classe in ascesa, mentre i rapporti di produzione, garantendo le forme della proprietà, sono espressione degli interessi della classe dominante, il conflitto che si viene a creare risulta essere un conflitto di classe e la rivoluzione che ne deriva un rovesciamento operato dalla classe degli sfruttati rispetto a quella degli sfruttatori.

Questo accadrà anche nella società capitalistica, in cui il conflitto tra il proletariato – la classe oppressa – e la borghesia capitalistica – la classe dominante – è destinato ad accrescersi sempre più sotto il peso delle insanabili contraddizioni insite nel sistema produttivo stesso; con la differenza, però, che l’instaurazione del comunismo rappresenterà anche la soppressione delle classi, e dunque del presupposto stesso del conflitto. E’ questo un punto molto importante della dottrina di Marx: il sistema capitalistico è destinato a crollare non tanto per la decisione volontaria di una classe sociale, quanto perché in esso agiscono forze oggettive e autodistruttive che lo porteranno inevitabilmente alla dissoluzione sfociando nella rivoluzione. Delle contraddizioni e della crisi profonda della società borghese si occupa il capitale, che si propone di realizzare una vera e propria “anatomia” del sistema capitalistico di produzione.

Questo è Un altro istante con la Storia, Grazie ci vediamo domani!

seguimi su facebook

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Translate »